DOCUMENTI STORICI

STATUTO VICINIA DONEGO

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La Direzione della Vicinia Donego ringrazia il prof. Mariano Bosetti per la gentile concessione dei testi dei documenti sottoriportati

La Vicinia Donego e lo “status” della villa di Vigo

 Dal libro di MARIANO BOSETTI “Alla ricerca dell’identità storica della Valle dei Laghi: terra di paesaggi, pievi, comunità castelli e conquiste” – pag. 53 - 61 

 Il paese di Vigo (dal latino vicus=villaggio rurale) è alloggiato su un conoide di deiezione –formatosi dall’apporto di materiale dei diversi torrenti che scendevano dalle località dela Bocadela Val, dala Vachele Mareciana - in posizione tale da formare una specie di displuvio fra la valle di Cavedine e il territorio di Drena. L’impianto del centro storico evidenzia (esclusa via Nuova ottocentesca) un’impostazione medioevale con una viabilità interna intricata, che per brevi tratti sembra essere ingoiata da stretti androni a volta a botte, coperti da casoni e che sfocia in slarghi più o meno ampi come l’antica piazza comunitaria. La sua descrizione è ormai affidata alla memoria degli anziani e soprattutto a qualche nota di don Manara, che a metà degli anni ’50 evidenziava con una sconcertante rassegnazione il lento declino storico- architettonico del secolare luogo di aggregazione per lasciar posto ad una modernità, che in nome di una supposta funzionalità cancellava i segni di un secolare passato. La piazza era contornata da un contesto edilizio di particolare suggestione: a nord la “Casa della travaia” (struttura per “ferrare” gli animali) col portico a tre archi, di cui quello verso il fosso, sbarrato da grandi massi calcarei rozzamente squadrati ed un masso porfirico, che serviva come tavolo della presidenza durante le assemblee della Vicinia. Altri riferimenti il “gelso dei Tinòti” e il pergolato dei “leoni” per giungere infine alla fontana con il “bell’albi” (abbeveratoio per il bestiame al ritorno dal pascolo con una capacità di circa 3 ettolitri di acqua corrente), che poggiava su dei pilastri con motivi ornamentali incisi nella pietra. La tecnica edilizia delle abitazioni rispondeva alle caratteristiche di agglomerato rurale/pastorale, non disdegnando comunque forme architettoniche signorili, caratterizzate da particolari costruttivi in pietra rossa, come i portali a tutto sesto, gli stipiti di porte e finestre e dei caratteristici ballatoi in pietra, sostenuti da modiglioni calcarei ed ornati con balaustra lignee variamente lavorate. Di un certo interesse naturalistico, che sottolinea la scarsità di pietra da opera, è la casa dei “Danieloni” (soprannome della famiglia), definita dal compianto don Evaristo Bolognani, altrettanto attento alla storia del paese natale, “un manuale di geologia” per la varietà delle pietre utilizzate nella costruzione dell’edificio.

Non va dimenticata la posizione strategica del paese in riferimento alla principale via di comunicazione fra Trento e il Basso Sarca attraverso la valle di Cavedine e al fatto già ricordato che costituì una specie di zona di confine fra il territorio del principato vescovile e la contea di Arco, che si estendeva a nord oltre il Luch. Il richiamo al significato difensivo di luogo di “frontiera” è dato innanzitutto dal toponimo “dòs de Castel”, alla cui esistenza don Manara collegherebbe l’ infeudazione nell’aprile del 1369 aPietro Madruzzo e ai fratelli Jacopino e Vocheso di Iorio di Madruzzo per la loro fedeltà e i servigi prestati al vescovo Alberto di Ortenburg della “castellanza di Castel Madruzo e Lasino” e di un’altra “nelle pertinenze di Cavedine (da intendersi come territorio pievano). Non da meno l’altro toponimo la “Tor” nei pressi di S.Udalrico in riferimento ad una presunta torre di avvistamento per chi saliva dalla strada del Basso Sarca. La stessa caratteristica tettoia, in corrispondenza della chiesetta di S.Udalrico, che fino agli anni ’60 (poi demolita) copriva trasversalmente anche un breve tratto di strada provinciale, potrebbe costituire un aggancio all’ esistenza nel periodo medioevale ad una specie di dazio per il passaggio delle merci.

L’economia di allora si articolava su un’agricoltura piuttosto stentata, data appunto l’altitudine; era però fiorente l’allevamento che costituiva la vera “ricchezza” per la gente. Notevole doveva essere il numero delle pecore, da cui si ricavava la lana per il vestiario, e delle capre, che fornivano il latte; in minor misura anche i bovini da tiro e per le altre necessità. Gli ovini nella bella stagione venivano portati nella “malghetta del Pian”, dove si producevano i latticini (in particolare il formaggio pecorino); le capre venivano invece affidate ad una capraio, che a partire dall’ ottava di maggio ogni mattina partiva al suono del corno seguito dal numeroso gregge verso la montagna, riconsegnando alla sera gli animali ai proprietari. Anche i bovini venivano condotti al pascolo, affidandone la custodia per lo più a ragazzi, sulle alture attorno al paese e dopo ferragosto, terminato il periodo degli sfalci, anche più in alto sui prati di Mezzomonte.

La storia della Vicinia: nell’ambito dei rapporti interni alla pieve di Cavedine non può sfuggire la specificità della parziale autonomia del paese di Vigo rispetto alle altre ville, legata all’ istituzione della Vicinia Dònego: un’ associazione secolare ( XIII° secolo), di cui facevano parte (e ne fanno parte tuttora i discendenti) le antiche famiglie di Vigo (Bolognani, Comai, Cristofolini, Eccher, Lever, Luchetta, Manara, Merlo, Turrina e Zambaldi), proprietaria di un’ ampia porzione di montagna sopra l’ abitato in località Dònego. In effetti il termine “vicinia” o talvolta “vicinanza” significa associazione di “vicini”, ossia di capifamiglia nati in quella villa, che si mettevano assieme per un obiettivo economico finalizzato allo sfruttamento di un territorio (bosco, pascolo, fienagione) da utilizzarsi come bene allodiale esclusivo per quelle famiglie, nonostante che continuassero a far parte politicamente ed amministrativamente della comunità più ampia di pieve e a godere, come abbiamo visto sopra, dei beni comunali indivisi al pari delle altre ville. Rimane evidente che questa specie di privilegio a favore della villa di Vigo doveva fondarsi su un valido presupposto giuridico che la mettesse al riparo dai tentativi azzeramento di tale specificità; ed in effetti nel corso del tempo vennero sollevati dalle altre ville concorrenti numerosi contenziosi in tal senso.

L’origine di questa proprietà – per carenza documentaria in parte irrimediabilmente compromessa dall’ usura del tempo - si dibatte, come si accennerà più sotto, fra storia e leggenda; infatti secondo la tradizione il monte Dònego, i cui confini sono indicati in una sentenza del 1332 che pubblichiamo a fianco, venne donato da una contessa dei d’Arco, individuata in Cubitosa (1236 – 1266), per l’aiuto ricevuto da alcuni fedeli servitori nella fuga, resa difficile anche dal suo precario stato di salute, dal castello di Arco dove era tenuta in ostaggio dallo zio Odorico (1232 – 1282), che si era appropriato con atti intimidatori  e violenze dei beni di famiglia. Infatti –come racconta la stessa gente di Vigo anche a testimonianza dell’insegnamento raccolto sui banchi della scuola frazionale per le passate generazioni- Cubitosa, fuggita precipitosamente dalla segregazione dello zio nel castello di Arco e gravemente malata, pare abbia trovato rifugio in qualche casolare di Vigo e fosse stata aiutata a superare il difficle momento da quelle povere famiglie. Anche la scoperta verso fine ‘800 (1897) nelle campagne di Vigo di 450 monete d’argento del XIII° secolo si farebbe risalire alla contessa d’Arco, come una specie di tesoro nascosto durante il suo allontanamento dal castello per ricompensare quanti le avessero prestato aiuto.

Dopo questa sosta a Vigo, riuscì a raggiungere la salvezza a Trento. E’ comunque verosimile che la contessa, data la complessa situazione politica di quei tempi a lei sfavorevole, abbia trovato un appoggio in persone di secondo piano se non addirittura fra le masse popolari ed è altrettanto scontato che lei fu mossa da profonda riconoscenza nel momento di stilare l’ ultimo testamento, da cui traspare la ferma volontà di ostacolare le mire dello zio sulla sua parte di eredità, privilegiando appunto le persone vicine in quel travagliato periodo della sua breve esistenza. Però dalla lettura delle sue volontà testamentarie nonostante un buon numero di persone beneficiate di riconoscimenti alla comunità di Vigo nemmeno l’ ombra, diversamente da come invece sostiene la tradizione popolare e lo stesso don Francesco Manara nelle sue note al punto che nel 1966, in occasione dell’ anniversario per il 7° centenario (1266-1966) del testamento, venne ricordata con una targa l’ antica donazione e ricordata nella toponomastica con l’intitolazione dell’ antica piazza appunto ai conti di quest’ illustre casato, che possedevano beni terrieri tra Vigo e Drena.

Da un altro punto di vista è del tutto escluso – come si è anticipato sopra - che nell’ambito dell’organizzazione pievana di Cavedine con un territorio comunale indiviso questo gruppo di famiglie sia riuscita a ritagliarsi in maniera arbitraria l’autonomia gestionale di una parte di montagna se non attraverso la riaffermazione di un diritto, sancito da una precedente fonte autorevole sulla quale poi si sarebbe consolidata una tradizione inoppugnabile.

La prima fonte riguarda la copia autentica, redatta nel 1528, della sentenza stabilita da Nicolò d’ Arco nel 1332 per una causa intentata dalle ville di Brusino, Laguna,  Mustè, Lapè e Stravino contro quella di Vigo non tanto sulla legittimità della proprietà di Dònego a favore degli abitanti di quest’ ultima villa (e pertanto da considerarsi come bene privato di quelle famiglie) quanto piuttosto sul privilegio goduto per l’esenzione da qualsiasi forma di tassazione su tale proprietà in difformità dall’ applicazione dell’ onere fiscale per le altre ville del comune; nello specifico il rappresentante della pieve di Cavedine sosteneva che anche gli abitanti di Vigo avrebbero dovuto pagare, al pari degli altri abitanti del comune, l’ imposta stimata sul valore del bene; sull’ altro fronte il procuratore di Vigo contestava il presunto diritto di sottoporre a tassazione i terreni di Donego, richiamandosi ad una tradizione in atto da molti anni. L’esito della vertenza da una parte confermò la legittimità della proprietà, come bene appartenente alle famiglie di Vigo e dall’altra riconobbe l’obbligo, a cui fino a quel momento ci si era sottratti, di pagare una tassa, forfetizzata a corpo in 50 lire piccole veronesi. 

Al di là delle conclusioni processuali il documento presenta altri spunti interessanti, derivati dal sopralluogo effettuato sulla montagna nel corso del processo, fra cui l’indicazione dei confini (traduzione):

da un lato di fronte dalla parte inferiore “la strada della Calcara” fino alla cima del monte e da un lato il “Dosso de Maurina” [Mavrina] in tutta la sua estensione dal basso alla cima fino al luogo chiamato “Ludus a bancha” (non identificabile chiaramente nella toponomastica – l’unico termine fonetico che si avvicina è Dos de la Barca);

dall’ altro lato dal basso fino alla metà del detto monte quanto si estende fino al “ Tovo Rigat” (detto da taluni Tof bligà o Tobligà) e fino alla Costa Alta (ora Coste Alte) e forse altri migliori confini con cui appariscono nei documenti”.

La seconda pergamena riguarda, invece, una sentenza, redatta dal massaro di Trento il 1° dicembre 1571, riguardante una controversia giudiziale fra due rappresentanti della Vicinia Dònego (tali Lorenzo dei Leporibus (Lever) e Antonio dei Rigoti) e un certo Melchiore Bertè, sorpreso a pascolare con i suoi animali sui prati della Vicinia. Conformemente allo statuto di Cavedine gli venne contestata l’infrazione con immediato pignoramento degli animali, come cauzione, fino al versamento dell’ammenda prevista per questo tipo di reato. Da qui l’avvio di un procedimento giudiziario col ricorso da parte del pignorato al massaro di Trento, che però respinse le motivazioni del ricorrente approvando l’operato delle autorità di Vigo, dal momento che il pascolo si era svolto su terreni inibiti a persone esterne a tale Comunità.

Due pergamene d’inizio diciassettesimo secolo sembrano riaccendere la miccia del contenzioso fra la villa di Vigo da una parte e le altre ville sempre sulla questione del monte Donego. Quella del 28 marzo 1609 solleva indirettamente un altro aspetto che fino a quel momento era passato inosservato: la regolamentazione giuridica della “Vicinia”, proprietaria di un patrimonio terriero di 189 ettaria bosco, prato e pascolo con la malga Pian. Una risorsa economica fondamentale per la povera gente di allora non solo direttamente agli abitanti di Vigo, che l’avevano gestita sulla base di norme per lo più orali tramandate di padre in figlio, ma indirettamente per lo stesso distretto pievano in quanto la villa di Vigo faceva pur parte della Pieve di Cavedine e soggetta pertanto al rispetto dello statuto del 1545, che si applicava all’ intero territorio comunale. Già nel documento del 1571 c’è un chiaro riferimento allo strumento statutario nel comminare la sanzione per il pascolo abusivo; però nella nuova fonte si parla di “capitoli concessi a Vigo” ed è appunto sul contenuto di alcuni articoli, che probabilmente il Comune di Cavedine, rappresentato dal sindaco Giacomo Betoto assistito dal procuratore Bonaventura de Albertis, aveva sollevato delle obiezioni davanti al massaro Giovanni Battista Busseto. Il ricorso tendeva, quindi, ad evidenziare in primo luogo una sorta di conflitto giuridico fra lo statuto e le norme concesse a Vigo, in quanto il calendario delle attività economiche sul territorio (bosco – prato e pascolo) era materia regolamentata a livello statutario ed approvata solitamente dall’ assemblea durante le cosiddette “regole minori”. Di conseguenza la sentenza massariale da una parte confermava la potestà normativa dell’assemblea della villa di Vigo di regolamentare nel segno della tradizione sia l’uso della fontana (art.1) che lo sfalcio dell’erba sul monte Donego (artt. 8 e 9); dall’ altra però con riferimento alle modalità applicative delle sanzioni comminate, sia nel loro ammontare che per il ricorso alla figura del decano come responsabile del procedimento giudiziario, rimarcava la prevalenza dello statuto. 

 L’altro documento è di qualche anno più tardi (16.06.1615) e riguarda la definizione di confini in montagna fra Vigo e le altre ville sulla base di un precedente accordo (26 settembre 1612). In effetti tre anni prima si era concordata come linea di demarcazione fra i due territori il “Tovo rigato”, che saliva in linea retta alla località “Costa alta”; però la presenza in quel tratto di montagna di diversi “tovi” rendeva difficile l’individuazione di quello considerato anche in sede di sopralluogo, pur con l’assistenza di due “periti” esterni (Giovanni Graciadei di Calavino e Aldrigeto Frizzera di Vezzano), nominati dal massaro di Trento. Dopo varie valutazioni finalmente le parti si accordarono nell’ indicazione del “Tovo rigato”, facendo apporre la specifica segnatura con una doppia croce in tre punti diversi a partire dal fondovalle fino alla cima del versante passando anche per la località “Cargador Veder”.

L’altra particolarità di Vigo riguarda l’adozione nel 1647 della carta di regola. E’ bene, però, sgombrare subito il campo da facili conclusioni nel precisare che non ci troviamo di fronte ad una vera e propria carta di regola, comunemente intesa come patto scritto per la completa gestione autonoma di una comunità, ma che si tratti più propriamente di uno specifico regolamento riguardante la gestione del monte Donego. In effetti il contenuto degli articoli poggia prevalentemente sull’ esercizio delle attività economiche nel segno di un’antica tradizione in questa parte di montagna ed inoltre non si potrebbe giustificare, per l’evidente conflitto di competenza giuridica, di cui si era avuta – come già detto - qualche avvisaglia nei periodi precedenti, la contemporanea coesistenza di due normative aventi la stessa finalità …  D’altro canto si trattava di una proprietà “privata”, appartenente cioè ai discendenti delle antiche famiglie di Vigo, le cui regole dovevano essere decise e riguardare solo gli stessi fruitori di quel bene, anche se coincidevano con la quasi totale collettività del paese. Questo aspetto emerge in maniera evidente riguardo alle modalità di indizione e partecipazione alle assemblee della “Vicinia” per gli aventi diritto tramite la convocazione individuale da parte degli incaricati. Anche per la nomina delle cariche la “carta” indica solamente “due deputati”, eletti a maggioranza dall’ assemblea e a cui spettavano il compito e la responsabilità della gestione del territorio vicinale; quindi nessun conflitto di attribuzioni con le cariche previste dallo statuto di Cavedine, che mantenevano le stesse competenze anche a Vigo.         

prof. Mariano Bosetti

Dal libro di MARIANO BOSETTI “Alla ricerca dell’identità storica della Valle dei Laghi: terra di paesaggi, pievi, comunità castelli e conquiste” 


Ordini et capitoli della villa de Vigo, Pieve di Cavedine confirmati dall’ Ill.ma et Rev.ma Superiorità di Trento

 1° Primo che ognuno d’essa Villa debba aiutare ricercato dalli soprastanti ai deputati mantenere et conzare secondo li bisogni la fontana d’essa Villa sotto pena de lire una per ogni volta et cadauna persona che contrafarà, d’essere applicata per la mittà al Commune et l’altra mittà all’ Officio del Massariato.

2° Che ogni volta che ogni uno sarà ricercato d’ essa Villa dalli Deputati et Regolano a dover accomodare le strade conforme alli bisogni d’essa Villa non possi recusar sotto pena de lire una quante volte sarà contravenuto per ogni persona d’essere applicata per la mittà alli Deputati et l’altra mittà all’ Officio del Massariato.

3° Al medemo siano tenuti ogni uno che sarà ricercato per l’accomodatione della strada che si va a condure il feno dal Monte, tanto a Terreri come a Forasteri che usarano detta strada habbino ad aiutare, sotto pena di lire doi per ogni persona tante volte d’essere tolta quante volte ogni uno contrafarà, d’esser applicata come di sopra nel secondo capitolo.

4° Che alcuno non possi, ne per se ne per altri, tagliare ne far tagliare Laresi, Pezzi ne Avezzi, sotto pena de ogni pianta che si taglierrà de lire cinque d’ essere applicata per la mittà al Commune d’essa Villa et l’altra mittà all’ Officio del Massariato, intendendo però senza licenza del detto Commune.

5° Che li Homini d’essa Villa possino ingazare et disgazare, servato però sempre l’ordine d’essa Villa.

Che ogn’uno che sarà ritrovato tagliare nelli gazzi et boschi ingazzati senza licenza del Commune de essa Villa per ogni volta et per ogni carro cadi nella pena di lire cinque et per ogni fatto lire una d’esser applicata come di sopra.

Che niuno Forastiero possi tagliare Palanchi per condor feni o altro, che non siano in detta Montagna de Vigo sotto pena de lire una per ogni palancho d’esser applicata per un terzo al sig. Massaro, l’altro terzo al detto Commune et l’altro a l’acusatore.

8° Che niuna persona così terrera come forastiera possi segare li feni di mezzo monte (località Mez Mont) avanti Santa Margarita del mese di Julio in su in fino al Prà de Cargador veder sotto pena de lire cinque per ogni segatore che contrafarà, d’ esser applicata come di sopra, intendendo però senza licenza d’esso Commune, al qual Commune aspetta secondo la stagione de tempi slongar o sminuir conforme alli bisogni.

9° Il medemo si proibisce per li feni de mezo la montagna in suso de non poter segare sin al principio de Agosto, sotto detta pena applicata ut supra.

10° Che li homini deputati deveno esser quelli che saran eletti dalla maggior parte di essa Villa secondo l’antico costume et sarano due, alli quali sia dato il giuramento dal sig Massaro.

11° E’ stato stabilito in pubblica Regola fatta nella Villa de Vich che niuno forastiero et quale non sia della Villa sudetta possi pascolar con sorta alcuna de Bestiame nel Monte de Donego sotto pena de lire una per ogni bestia grossa et grossi otto per bestia minuta da esserli tolta quante volte sarà contra fatto, et applicate per la mittà all’Off.io del Massariato et l’ altra mittà al Commune sudetto de Vich et accusatore, intendendo che li forastieri quali contrafaranno alli sudetti capitoli venghino puniti in duplicata pena.

12° Che debbano tenir tutti quelli di detta Villa il capraro una volta all’ anno.

13° Che niuna persona ardisca lavar nel brenzo o sii albi della fontana di detta villa, sotto pena de lire una per ogni uno che contrafarà, la mittà al Commune, l’altra mittà all’ Officio del Massariato.

14° Che alcuno non possi tagliar laresi nelli divisi, si terreri come forastieri, sotto pena de ragnesi uno per pianta, applicata come sopra.

15° Che alcuno forastiero non possi pascolar con bestiami di sorte alcuna nella nostra montagna, se non tanto che conduce il suo feno, sotto pena de grossi trenta per bestia grossa et grossi dodeci per bestia minuta d’applicarsi come di sopra.

16° Che il bosco dal Tovo della Canala fino al Tovo de Mavrina sia et s’intendi ingazato, né che alcuno tanto terriero come forastiero non possi tagliare legnami di sorte alcuna senza licenza delli Giurati sotto pena de lire cinque per carro et li forastieri il doppio, la mittà al sig. Massaro e l’altra mittà al detto Commune.

17° Che tutti quelli che saranno dalli Giurati comandati alla Regola debbino comparire sotto pena de grossi 20 per cadauno, la mittà al sig. Massaro et l’altra mittà alli Giurati per ogni volta sarà contrafatto.

18° Che nissuno ardisca di voler andare a molestare, né impedir il Vaso dove che vien l’acqua della fontana della Villa de Vich de Caveden sotto pena de lire vinticinque per cadauna persona che contrafarà, d’esser applicata per un terzo al Sig. Massaro, un terzo alla Villa et l’altro terzo all’ accusatore.

19° Che nissuno possi pretender parte del Commune di Vigo che si dividerà di tempo in tempo se non habita in detta Villa e tenga fuoco e loco.

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Stralcio della pergamena (copia del 1332) della Vicinia Donego

 “ … anno Domini millesimo trecentesimo trigesimo secundo, indictione quinta decima, die XVI intrante augusto, in castro Archi presentibus …… Ibique Odoricus filius quondam Zambaldi de Cavedine pro se et tam quam Syindicus actor, procurator et nuntius specialis hominum comunitatis et universitatis infrascriptarum villarum plebatus Cavedeni ……. ex una parte et Joannes dictus Bona de Troiana nunc habitante in villa de Vigo, plebatus Cavedeni, pro se et tamquam Syindicus …. hominum comunitatis et universitatis praedictae villae de Vigo …..ex parte altera …. volentes discordiis et controversiis, litibus et quaestionibus inter partes praedictas vertentibus …. occasione montis hominum et communitatis dictae villae de Vigo, qui vocatur mons donègi iacens super villam de Vigo et possessiones dictarum singularum personarum de Vigo existentium in ipso monte de Donègo, obviare et ad pacem et concordiam praedictae deducere concorditer et unanimiter et de pleno animo et bona voluntate compromiserunt …..”

 “ …. dicebatur dictus Odoricus, sindicus hominum Comunitatis et universitatis dictarum villarum plebatus Cavedeni, homines praedictos de Vigo comuniter dicto monte comuni singulatim et divisim pro possessionibus quas unusquisque isporum ibi habet, debent solvere partem eis contingentem quod imponentur in plebatu Cavedeni similiter quod ipsi et ceteri homines plebatus Cavedeni solvunt pro possessionibus quas habent similiter formam extimi facti in plebatu Cavedeni …. - … quod dictus Joannes syindicus hominum et comunitatis praedictae villae de Vigo negabat dicens quod dictus mons et possessiones divisae ibi existentes non dabant exstimum nec quidquam de salario solvere cum homines de Vigo praedicta nunquam fecerint ……

 (la sentenza) “ …. quod suprascriptus mons comunitatis hominum de Vigo intra praedictos confines sit et esse debeat praedictum hominum de Vigo et quod possessiones divisae in eo monte esistentes illorum quor

um sunt et qui eas acquisierunt …… et possessiones suprascriptae in eo existentes sint et esse debeant nunc extimatae quinquaginta librarum denariorum veronensium parvarum …..


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Stralcio del documento capsa 8 – n. 11 – dd. 28.03.1609

 “… quod possint illi de Vigo regulare secationem feni de Donègo cum interventu, scientia, consensu et voto aliarum personarum interesse habentium in dicto Monte, cum poenis et applicazione earundem, prout in dictis capitulis, ita tamen querelas dentur Decano totius Communis Cavedeni ….”

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Stralcio del documento capsa 8 – n. 15 – dd. 16.06.1615 “Designazione di confini e sopraluogo per la terminatione al “Tovo rigato” in esecutione della sentenza 26.09.11612 nella controversia fra la villa di Vigo e le altre comunità di Cavedine”

 “Havendo realmente ritrovato il Tovo rigato, si come per giuramento di Bartholome Rigotto come volontariamente hanno presentato dal sudeto messer Antonio Tocolo sindicato et da quelli de Vick approvato et di messer Dominico Galeto sindico di tutto il commune …. quali tuti unitamente hanno per conscientia et giuramento loro deposto che tale tovo è il vero nominato Rigato ….. sono devenuti alla terminatione di esso monte come segue: P.o Han fato intagliare una croce doppia di queste segno ++ in un cengio a mane zancha, ascendendo verso Costa alta, et cosi in mezo al fondo della valle al pe pure del tovo sudeto – 2.do Ascendendo e partendosi de ivi han parimente fatto intagliare un’ altra croce del istessa maniera della quale di sopra in una lasta de uno Prato de Antonio Dorigato per cinque passi in circa sotto alla strada, il qual Prato si nomina Cargador Veder – 3.zo Partendosi da esso 2do termine han fatto intagliare un’ altra croce del istessa forma in un cengio d’un Prato de Antonio quondam Christoforo Dorigato, quale mira giustamente reta linea alla costa sudetta alta et così come di soto seguendo l’ordine dato dal sudeto Illustre Signor Massaro et conforme alle sententie fate da esso Illustre Signor Massaro et dalle parti approbate han dessignato et terminato con ogni meglior modo”.

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stralcio approvazione vescovile

 Notum fecimus tenore praesentium quibus expedit Universis quod praecibus fidelium Nobis dilectorum Hominum Villae Vici Cavedeni … eorum hic antescripta novemdecim regulatoria capitula …. duximus, prout approbamus et confirmamus per praesentes hoc …”),